50 oggetti di design che hanno cambiato la storia

Dallo spremiagrumi di Alessi disegnato da Philippe Starck alla Coccoina, dalla radio Cubo di Brionvega all’iPod e al Game Boy passando per la Fender Stratocaster fino ad arrivare alla Lambretta, ai Ray-Ban e al taccuino Moleskine, ecco 50 cult object che hanno scritto la storia del design internazionale

La Milan Design Week è alle porte e nella mecca del made in Italy si respira un’atmosfera composta in gran parte da disegno industriale e silhouette ergonomica. Oltre che da monossido di carbonio.

Dal 17 al 22 aprile Milano si addobberà a festa, sfoggiando il suo abito migliore: quello intessuto di design alla moda. Tra Salone del Mobile ufficiale e salone-off (ossia il Fuorisalone alternativo, diventato ormai anch’esso un’istituzione), il brusio di sottofondo avrà parole chiave come Philippe Starck, Brionvega e sedia Thonet ripetute a loop, come nelle migliori litanie.

La sedia Thonet n. 14 (foto: thonet.de)

Tutti i santi dell’Olimpo del Compasso d’Oro – il riconoscimento italiano che dal 1954 viene assegnato al migliore designer dell’anno – saranno osannati sia sull’altare ufficiale, quello del Salone internazionale del mobile che dal 1961 attira amanti del disegno industriale e dell’home decor, sia su quello un po’ più ufficioso del Fuorisalone.

Quest’ultimo è nato come ufficioso nei primi anni Ottanta, quando varie aziende del settore capeggiate da Cassina hanno deciso di non affittare più uno showroom nei consueti spazi espositivi fuori Milano ma di esporre in città, nei quartieri più culturalmente nevralgici.

Nel 1983 la rivista Abitare ha citato per la prima volta la parola Fuori Salone (in origine scritto staccato) ma soltanto nel 1991 questa realtà underground è stata battezzata con un cerimoniale ad hoc sulla rivista Interni: creato il logo dell’evento e pubblicata la prima guida con i vari appuntamenti (distruibuita in allegato al giornale), la Milan Design Week in nuce ha mosso i primi passi.

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Da allora ne ha fatta di strada. E ne ha fatta fare parecchia anche ai design addict di tutto il mondo: i suoi due fulcri, il Salone e il Fuorisalone, attirano proseliti da ogni parte del globo terracqueo, con il record di 343.602 presenze in soli sei giorni registrate durante la scorsa edizione. Nel 2017 si è assistito a un incremento del 10% rispetto all’edizione del 2015 e le previsioni relative ai numeri di quest’anno sembrano essere ancora più ottimiste. Secondo le stime della Camera di Commercio di Monza e Brianza riportate dal Sole24ore, la Design Week 2018 accrescerà l’indotto turistico al punto da fruttare un impatto economico di 230 milioni (in aumento rispetto ai 220 milioni dello scorso anno e del 2015).

Cifre da capogiro che sono ormai quelle standard del settore dell’haute design: da pezzi di arredamento che arrivano a costare tanti zeri quanti i cerchi olimpici fino a carriere – più che rosee semmai auree – di Archistar che hanno mandato in pensione il mito della Rockstar, questo settore incomincia a scalzare le altre due eccellenze italiane, quelle del food e del fashion.

Per non arrivare impreparati alla Design Week 2018, ecco una fotogallery che permetterà una full immersion nella materia. 50 foto di altrettanti oggetti cult, ossia un rosario da sgranare ricordando le icone più sacre del design di sempre.

Cavatappi Anna G. di Alessi del 1994 (foto: alessi.com)

Dietro a ciascuna di esse c’è sempre una parabola interessante, come quella del cavatappi Anna G. ideato da Alessandro Mendini nel 1994 per Alessi che, leggenda vuole, riecheggerebbe volto, silhouette nonché nome della designer Anna Gili. Oppure la storia della mitica sedia rossa e blu di Gerrit Rietveld che in realtà è nata nel 1917 color legno di faggio e ha assunto la celebre colorazione solo sei anni più tardi, grazie al suggerimento di uno che con quei colori ci ha scritto, anzi dipinto, la storia: Piet Mondrian.

Sedia rossa e blu di Gerrit Rietveld ideata nel 1917. (foto: cassina.com)

Ci sono anche casi in cui è stato il design a colorare la cultura e non viceversa, basti pensare alla collana Mondadori dedicata al genere poliziesco nata nel 1929. Il colore delle copertine dei libri di quella linea editoriale è diventato l’antonomasia del genere letterario, facendo nascere il neologismo italiano giallo per indicare il thriller.

Il Giallo Mondadori nato nel 1929. (foto: mondadori.it)

E a proposito di colori, non ci si può esimere dal citare quello numero uno in materia di marchi pubblicitari, ossia il rosso. Osteggiato per anni nel settore alimentare in quanto questa tinta richiama a livello subliminale l’idea del sangue e in generale del pericolo, c’è stato però un marchio che ha fatto spallucce e se ne è fregato, tentando la commercializzazione di un suo prodotto vestito proprio di rosso fuoco. Scelta che si è rivelata vincente dato che stiamo parlando della Coca-Cola, una delle cose più famose non solo in materia di design ma in generale della storia dell’umanità. Così famosa che è riuscita a cambiare i colori di un altro mostro sacro del nostro folklore: Babbo Natale.

Santa Claus originariamente era vestito di verde ma una pubblicità natalizia della Coca-Cola uscita nel 1931 sul giornale The Saturday Evening Post l’ha ritratto con i colori aziendali, trasformandolo per sempre nel Red Santa che conosciamo oggi.


Fonte: WIRED.it

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